E’ curioso osservare come nell’immaginario collettivo il mondo contadino sia associato ad elementi di identità e stile di vita che sono contestualmente positivamente e negativamente connotati.

Emblematico è, in questo senso, il detto popolare “contadino dalle scarpe grosse e il cervello fino”, che rimanda ad una abilità nel ragionamento inaspettatamente propria di chi lavora la campagna e che è nel contempo intuizione, capacità di non lasciarsi ammaliare dall’apparente convenienza di una proposta di affari, ma anche furberia: scaltrezza di un cervello pragmatico,  fortemente ancorato alla dimensione materiale e poco avvezzo a tensioni idealistiche.

Analogamente ambivalente in termini di desiderabilità e di rifiuto è l’idea della vita nella comunità rurale, verosimilmente idilliaca solo se immaginata da cittadino ospite nella quiete di un agriturismo immerso nella natura.

La rappresentazione critica della civiltà contadina rimanda in effetti ad una vita difficile, intrisa di rassegnazione; alla sottomissione e al servilismo interiorizzato nel corso delle generazioni che Di Vittorio volle scuotere esortando i braccianti a non togliersi il cappello di fronte al padrone; alla mancanza di istruzione; ad un modello di famiglia rigido e autoritario; alla violenza di cui scrive Plinio Martini.

Tuttavia l’esperienza cittadina della modernità e della post modernità, nei suoi aspetti caratteristici di abbandono dei ritmi della natura sostituiti dai ritmi “frenetici” della città che non dorme mai; di disgregazione della famiglia, con le drammaticamente note implicazioni sulla presa in carico degli anziani; di depauperamento del senso di comunità e delle reti di prossimità e di mercificazione dei meccanismi di solidarietà, che diventano servizi di assistenza, ha alimentato un rinnovato apprezzamento della dimensione comunitaria  rurale e dei valori positivi di cui era depositaria.

L’attuale modello urbano dominante di sviluppo ha cercato, anche attraverso nuove teorizzazioni degli spazi della città decisamente green oriented,  di riassorbirne alcuni elementi. Sul piano economico e sociale, si è provato sovente a istituzionalizzare   – talvolta con successo – iniziative che nascevano dal basso, come nel caso degli orti cittadini e della crescita del fenomeno della spesa a chilometri zero; dei progetti di economia circolare sperimentata dai Fab Lab; dei tentativi di ricostruzione delle reti di vicinato messi in atto dai condomini solidali, dagli ecovillaggi ma anche, in forma meno strutturata, dalle “Strade Sociali”, organizzazioni informali di cittadini promotrici di  iniziative di  socializzazione e di condivisione sul modello della sharing economy.

La comunità contadina era infatti coesa e solidale, costruita sulla valorizzazione della relazione intergenerazionale, ancora permeata dal concetto del dono reciproco come aiuto nella cura e cessione di beni autoprodotti in eccesso; identitaria nel senso di appartenenza al luogo e di ancoraggio alla tradizione, tipicamente consolidata nella religiosità popolare; custode, attraverso la valorizzazione dei prodotti tipici del territorio,  della biodiversità, ma anche  – con riferimento all’economia della campagna –  in larga misura autosufficiente, caratterizzata da un utilizzo e un consumo su scala locale, basata su filiere corte; forte di una cultura del riutilizzo che minimizzava la produzione di rifiuti e l’impatto ambientale da essa derivante. Si pensi a pratiche diffuse quali l’impiego dei rifiuti organici per la concimazione e della cenere del camino per concimare e per lavare la biancheria; l’utilizzo di oli e grassi di scarto per fare il sapone; i residui del vino per fare l’aceto; la pressatura delle vinacce raccolte dal fondo del tino (se non vendute per la distillazione) e la loro spremitura per ottenere il  “vino torchiato”, utilizzato per la produzione di vini meno pregiati nonché ulteriormente lavorate per trarne l’”acquerello”, frizzante e poco alcolico, e infine date in pasto alle galline; la lavorazione del latte per ottenerne derivati di diretto consumo, come  il burro e il formaggio, ma anche siero, utilizzato come alimento per i maiali, di cui è noto il ruolo chiave nell’economia contadina, sia perché a fare ingrassare il maiale contribuivano tutti gli avanzi della cucina, sia perché del maiale stesso si utilizzavano praticamente tutti gli “scarti”. Ancora, pensiamo alla sapiente valorizzazione  di pane raffermo e avanzi vari della cucina all’interno di ricette appetitose, spesso aromatizzate con le erbe di campo.

Ricordiamo, sull’ecologia della civiltà contadina, il libricino scritto dallo studioso di tradizioni popolari Carlo Lapucci (“L’economia dei contadini – il laboratorio dell’aia fondato sul riciclaggio completo”, Libreria Editrice Fiorentina,  2012), in cui si ricorda “…l’ammirevole organizzazione e la sapiente utilizzazione di ogni risorsa per cui tutto quello che entrava nell’aia veniva capillarmente sfruttato, selezionato, finché i rifiuti si facevano sempre più esili al punto che quanto non aveva trovato altro impiego con la macerazione, con la diluizione, con la combustione, tornava come fertilizzante alla terra. Nessun spreco, nessun rifiuto, nessun inquinamento” (https://www.riciblog.it/economia-contadini-libro-storia-riciclaggio-vecchie-cascine/ ). Una cultura, quella della civiltà contadina, che si pone in questo senso agli antipodi del consumismo della società contemporanea, non solo pensando alla cucina e alle pratiche del contadino, ma anche agli artigiani del borgo che riparavano gli oggetti rotti, rimandando il più possibile la sostituzione del prodotto.

Le rappresentazioni che trovano posto nell’immaginario collettivo riflettono dunque nello stesso tempo la consapevolezza delle difficoltà e dei limiti del mondo rurale tradizionale e la consapevolezza di qualcosa che si è perso e che è bene tenere vivo nella memoria collettiva, non tanto perché si possa pensare di recuperarlo nelle medesime forme, ma perché possa fungere da correttivo di una rotta verso drammatiche derive.

Prof. Silvio Bolognini
Prof. Straordinario – Università degli Studi eCampus
Novedrate/Como – Padova-Torino-Roma-Napoli-Bari
Palermo-Firenze-Cagliari-Milano

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